
Le 9 firme di Quentin
Tarantino è un feticista, è ossessionato dal cinema, da quello che il cinema riesce a dargli. La sua firma è prendersi in giro, coinvolgere gli spettatori nelle sue manie.
Quale occasione migliore, se non l’uscita di “Once upon a time in… Hollywood”, nono film del regista di Knoxville, poteva spingerci a stilare una lista delle sue caratteristiche firme, presenti in praticamente ognuna delle sue pellicole? E quale miglior numero, se non il 9?
- Il Crash Zoom
Forse una delle tecniche più utilizzate dal cineasta americano, e sfruttata sia per una scelta di stile, sia per citare i film che hanno segnato gran parte della sua formazione: I vecchi film cinesi di Kung fu. Per la precisione quelli firmati dai celebri Shaw Brothers, fratelli produttori famosi del genere. Il Kung fu è infatti presente in più o meno tutti i film di Tarantino, non letteralmente, sia chiaro, più metaforicamente (tralasciando Kill Bill, dove lo è anche letteralmente).
La tecnica consiste nel zoomare velocemente su un soggetto, passando da un campo più largo, come un totale o un campo medio, ad un primo o primissimo piano. Questo tipo di inquadratura può essere utilizzata per mostrare qualcosa di inaspettato, o per sottolineare momenti di tensione, ma anche per mettere in evidenza l’aspetto comico, la presa in giro. Il regista usa questa inquadratura spessissimo in “Kill Bill vol. 1”, “Kill bill vol. 2” e “Django Unchained”.
La tecnica, in realtà, è stata più volte ripresa anche da altri esponenti contemporanei di questa tecnica: Wes Anderson, Edgar Wright e Guy Ritchie.
- Worm’s eye e trunk shot
Altra celebre firma del regista è il “Worm’s eye”. Questa inquadratura, tradotta in “occhio di verme”, che possiamo semplificare in “soggettiva di verme”, consiste nel riprendere un soggetto dal punto di vista, appunto, di un verme. È l’inquadratura opposta al “bird’s eye”, che è letteralmente una ripresa dal punto di vista di un uccello. Questa inquadratura può essere etichettata anche come contre plongée (in inglese low angle shot, ovvero una ripresa fatta dal basso).
Spesso viene anche chiamata “Corpse shot”, che possiamo tradurre molto alla buona in “soggettiva del corpo steso a terra”. Questo nome proviene dal fatto che Tarantino ci rende partecipi della scena, facendoci osservare l’ambiente dal punto di vista di una vittima stesa a terra.
Viene utilizzata principalmente per rendere il personaggio inquadrato imponente e potente. Al tempo stesso, essendo una soggettiva, rende il personaggio in cui lo spettatore si immedesima, più vulnerabile. Questa inquadratura è presente in più o meno tutti i film del regista.
Con il tempo Tarantino è stato capace di rendere sua questa inquadratura, contribuendo alla creazione di una sua variante. Chiamata “Trunk Shot”, l’inquadratura non è altro che un worm’s/corpse eye, ripreso dal bagagliaio di una macchina. Viene utilizzata dal regista per far indossare allo spettatore, i panni della vittima di turno di uno dei protagonisti, che puntualmente viene rinchiusa nel bagagliaio di una macchina.
Possiamo trovare trunk shot in quasi ogni film di Tarantino, tralasciando quelli dove sarebbe anacronisticamente impossibile (come “Django” e “The hateful eight”). Sono presenti celebri esempi partendo dal primissimo “Le iene”, passando per uno degli episodi di “Dall’alba al tramonto”, per arrivare al più recente “Grindhouse”. Anche Robert Rodriguez, grande amico di Tarantino, ha reso omaggio all’inquadratura nel suo “Planet terror”.
- God’s eye
Se prima abbiamo parlato di inquadrature dal basso, ora parliamo di quelle dall’alto. Si perché, Tarantino è stato, negli anni, capace di rendere sua un’altra inquadratura con angolazione particolare. Si tratta del “God’s eye”, o “occhio di Dio”, che è praticamente una sorta di opposto al bird’s eye. L’inquadratura fa immedesimare lo spettatore in “Dio”, fornendogli il suo punto di vista. Se il worm’s eye può essere compreso nella categoria dei contre plongée (low angle shots), il god’s eye, viene compreso nei “Plongée” (high angle shots), che sono, ovviamente, il contrario dei contre plongée. Spesso la posizione della camera è perpendicolare a quella del pavimento, mentre in altri casi l’angolazione varia leggermente.
Tarantino usa questa inquadratura per fornire una visione quasi onnipotente e onnipresente della scena, e nei suoi film di solito, anticipa una scena carica di tensione, ma anche scene dove sono presenti azione e violenza. È quasi come se il regista ci dicesse che noi siamo Dio e abbiamo il potere di osservare le vite dei suoi personaggi.
L’utilizzo di questa tecnica da parte di Tarantino, per sottolineare tale stato d’animo e azione, è sicuramente una citazione, o meglio un omaggio, al maestro della suspense, Alfred Hitchcock.
Esempi di questa tecnica sono presenti in celebri pellicole come “Psycho”, più precisamente nella scena in cui Abrogast viene assassinato nella residenza Bates. Scena ricca di pathos, spesso oscurata dalla più conosciuta scena della doccia, e che rappresenta un particolarissimo esempio di visual storytelling.
Anche in “Intrigo Internazionale” è presente uno splendido esempio di questa inquadratura, che riprende da una distanza lunghissima il protagonista Thornhill, interpretato da Cary Grant, intento a scappare.
- Bianco e nero (scala di grigi per i puristi)
Il bianco e nero, o scala di grigi per i più pignoli, viene utilizzato da Tarantino per molteplici funzioni. Quando si parla di Tarantino le citazioni non mancano mai, soprattutto ai film di kung fu che abbiamo citato prima.
Negli anni 70 infatti, a causa della presenza eccessiva di sangue nei film di arti marziali cinesi, negli USA questi ultimi venivano mandati in onda in bianco e nero per censurare le scene violente. I due Kill Bill sono un esempio palese di questo citazionismo tarantiniano, che richiama questa sua fissazione per il cinema cinese.
Ma Kill Bill non è l’unico film che omaggia qualcosa grazie a questa tecnica. In Grindhouse sono presenti molte sequenze che sfruttano il bianco e nero (che si unisce all’utilizzo di pellicole sporche e danneggiate) per ottenere un’estetica particolare che possiamo accostare soprattutto al cinema francese, quello della Nouvelle Vague più precisamente. Tarantino è infatti un grande fan di questo movimento, e ha voluto farcelo sapere attraverso alcune delle sue pellicole.
Un altro utilizzo del bianco è nero avviene quando bisogna differenziare diverse linee temporali. Il bianco e nero viene spesso utilizzato per rappresentare scene avvenute nel passato, per tornare al colore durante le scene ambientate nel tempo presente.
- close-up estremi
Tutti conoscono il feticismo che Tarantino ha per i piedi. Questa sua fissa è diventata una firma, che ti permette di riconoscere un suo film da un singolo fotogramma. Sottolineare le forme femminili, come appunto i piedi, o la silhouette di bocche o labbra, tramite primi piani strettissimi, è una prerogativa del regista. Questa necessità di evidenziare tali dettagli relativi alla figura femminile, rappresenta una particolare visione del regista del ruolo della donna nei suoi film. Curiosamente, un altro tipico oggetto ripreso in primissimo piano è il giradischi, o meglio la sua puntina, che introduce tantissime scene attraverso l’inizio di un vinile. Film come “Pulp fiction” e “Grindhouse”, sono pieni zeppi di primissimi piani estremi.
- I campi e i piani larghi
Lo scopo principale di un campo, o di un piano largo, è di mostrare l’ambiente che circonda un soggetto, creando collegamento tra quest’ultimo e l’ambiente stesso. Gli spaghetti western sono il genere per eccellenza dei campi e dei piani larghi, e con il tempo hanno contribuito a fare la storia di questo tipo di inquadratura, portandola ad uno step successivo. Film cult come “C’era una volta il west” o “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone, sono la rappresentazione perfetta di questo rapporto tra ambiente e personaggio. Tarantino, da grande amante del genere, ha omaggiato questi film cult, inserendo questo tipo di inquadratura in ogni sua pellicola. Ma non si è solo limitato a utilizzare le stesse inquadrature, bensì ha spesso optato per utilizzare lo stesso identico setup fotografico. Basti pensare al più recente “The Hateful Eight”, girato in anamorfico su pellicola 70mm. Con le ottiche anamorfiche si ottiene un campo di visione più largo, rispetto alle più utilizzate ottiche sferiche. Questo è dovuto al tipo di distorsione creata dallo stretch anamorfico, che raddoppia il campo di visione orizzontale di un’ottica sferica. Grazie a ciò si ottiene un campo più largo, e più aria ai lati, permettendo una visione dell’ambiente circostante più ampia. Il tutto viene poi combinato con il 70mm, che è un formato analogico grande (il classico cinematografico è il super35, ovvero un 35mm).
- 360°
Tarantino stesso ha dichiarato di essersi ispirato al regista Brian DePalma per i suoi tracking shot, più precisamente quelli a 360°. Questo tipo di ripresa può enfatizzare uno stato di confusione, come accade ad esempio in Jackie Brown, quando la camera gira intorno ad una Jackie visibilmente confusa. Ma può esprimere anche un senso di unione tra più personaggi, come possiamo notare ne “Le iene”, durante la scena iniziale nel diner. La camera è montata solitamente su un dolly con carrello circolare, quando si tratta di una scena statica e ferma in un punto, o su di una steady, per le scene in piedi e in movimento.
- Lo specchio e i bagni
Altra inquadratura tipica del regista è quella nello specchio. Tarantino riprende i suoi personaggi intenti a fissarsi nello specchio, solitamente nei bagni, che sono una location solita dei suoi film. Sul piano del visual storytelling, questo genere di inquadratura può rappresentare un confronto intimo di un personaggio con se stesso. Esempi celebri sono presenti ne “Le iene”, quando personaggi come Mr. White o Mr. Orange si guardano nello specchio. Anche in Kill Bill è presente un celebre esempio, quando la sposa fissa il suo stomaco nello specchio di un bagno.
- il MacGuffin
Altro omaggio al maestro Hitchcock è il MacGuffin, che non è altro che un oggetto intorno al quale ruota l’intera vicenda dei personaggi, ma che per lo spettatore non ha alcun significato. Questo espediente narrativo è stato creato, appunto, da Hitchcock nel suo “Psycho”, dove una busta contenente quarantamila dollari rappresenta l’oggetto fulcro della storia. Nel caso di “Pulp Fiction”, dove 3 storie con protagonisti diversi si intrecciano tra di loro senza un apparente logica temporale, il MacGuffin è una valigetta dal contenuto misterioso. Il voler mostrare ai protagonisti il contenuto della valigetta, celandolo allo spettatore grazie al giusto posizionamento della camera, enfatizza ancora di più questo valore dell’oggetto nei confronti dei protagonisti stessi. Tarantino Inoltre, per enfatizzare ulteriormente questo espediente, piazza all’interno della valigetta di Pulp Fiction una lampadina che emana un colore simile a quello del riflesso dell’oro, depistando ogni possibile interpretazione dell’oggetto da parte dello spettatore, con una resa comica inconfondibile.
- (BONUS) La divisione in capitoli
Potremmo scrivere tanti altri punti per stilare ogni caratteristica tipica dei film di Tarantino, ma come punto bonus abbiamo deciso di inserire la divisione in capitoli. Il regista infatti tende a dividere ciascuno dei suoi film per capitoli, creando una scomposizione della classica struttura risolutiva in tre atti, rimodellandola secondo una sua logica. La divisione in capitoli inoltre, crea una sorta di alienazione nello spettatore, e tende a spezzare un’immedesimazione da parte dello stesso nella pellicola. Questo serve principalmente a far rendere conto allo spettatore che si sta guardando un film come esterno, e non lo si sta “vivendo”.