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Quando nei film il sesso passa per il cibo

La pesca, la torta di mele. La fantasia nel cinema si spinge anche ad immaginare l’utilizzo sessuale del cibo. In realtà nel cibo c’è tantissimo sesso nascosto, ad esempio, cosa pensate l’emoji della pesca secondo voi per cosa viene utilizzata? 

 

Ve la ricordate tutti la locandina vero? Gli occhiali a forma di cuore e la bocca rossa che languidamente si stringe attorno all’altrettanto scarlatto lecca lecca.

Era il 1962 quando nelle sale uscì il capolavoro di Kubrick, Lolita, tratto dall’omonimo romanzo-scandalo di Vladimir Nabokov.

La ninfetta Dolores succhia – ingenuamente? non proprio – il suo bon bon, scatenando nella mente del professor Humbert Humbert e in quella di tutti gli spettatori pensieri tutt’altro che casti.

 

 

Lo stretto legame che esiste tra cibo e sesso è di vecchia data. Nelle civiltà più antiche per le quali ricerca del piacere, di per sé, non era da condannare, entrambi gli atti, il nutrirsi e il copulare, venivano praticati con grande libertà; basti pensare alla fantasmagorica descrizione della celebre Cena di Trimalcione nel Satyricon di Petronio, o il Kama Sutra, il testo indiano sul comportamento sessuale umano. C’era una vera e propria cultura del cibo, così come del sesso.

È con l’avvento del cristianesimo, dove uno dei valori più celebrati è la morigeratezza, nella vita materiale così come nei sentimenti, che vengono posti dei limiti alle abbuffate di sesso e cibo. Pensiamo al simbolo stesso del peccato che ci tramanda la Genesi: il frutto proibito (che gli artisti medioevali hanno poi raffigurato nella rossa, tonda, succosa mela, ça va sans dire).

Non a caso, sia l’alimentazione che l’atto sessuale sono inseriti dallo psicologo statunitense Maslow, nella sua celebra piramide, tra i bisogni fisiologici, ovvero quei bisogni legati alla sopravvivenza dell’essere umano. Sono entrambe attività che provocano piacere, che, portate a compimento, appagano il ventre e il cervello, sono attività che coinvolgono la sfera sociale, seppur con grado diverso, e ambedue prevedono una certa ritmicità nella gestualità. C’è un legame anche nel linguaggio comune: il verbo “consumare” viene utilizzato sia in riferimento al pasto che all’atto che sancisce il matrimonio, e quante volte abbiamo detto “ti mangerei di baci”, o con ammiccamenti vari, “quanto vorrei assaggiarti…”?

E questi morsi d’amore, questa volontà di inglobare l’amato, fanne parte di sé, altro non sono che blande manifestazioni di un sano cannibalismo. Del resto i due tabù fondamentali della società umana sono proprio il tabù del cannibalismo e quello dell’incesto. “Fra questi sembra esistere un parallelo costante” ci dice Oscar Marchisio in Religione come cibo e cibo come religione “che trova la sua spiegazione nel fatto che ‘incesto e cannibalismo sono le forme iperboliche dell’unione sessuale e del consumo alimentare’ cioè rappresentano i limiti estremi, le barriere all’interno delle quali si situa l’umanità”. E che dire quindi di chi è già al di là dell’umano?

Gary Oldman che dopo una appassionata dichiarazione di amore eterno, that’s for sure, si china sul collo palpitante di Winona Rider per succhiarne il sangue, compie un gesto che è tanto erotico quanto predatorio. Dracula concupisce la propria vittima e allo stesso tempo si ciba di lei. Non a caso la figura del vampiro, per il quale spesso la fonte di nutrimento è anche l’oggetto della propria passione, è tra le più sensuali della letteratura e del cinema che ad essa si ispira.

 

 

E tornando per un attimo alla nostra Lolita, cosa convince in modo definitivo il buon professore H.H. ad approfittare dell’ospitalità di casa Haze? “Credo che siano state le sue torte di ciliegia…”.

Parlando di torte non si può non riandare con la memoria a quella che è forse la scena di sesso con cibo più memorabile di tutta la commedia americana (beh fatta eccezione forse per il panino all’orgasmo in Harry ti presento Sally, ma questo è un altro discorso…). 20 anni fa infatti, Jason Biggs, alias Jim, consumò, è il caso di dirlo, il suo primo rapporto “carnale” con una gustosa torta di mele appena sfornata (dalla madre, il che dovrebbe avere qualcosa di freudiano…), che diede poi anche il titolo al fortunato film: American Pie. E non fu una semplice “botta e via”, le riprese della scena cult durarono più di 6 ore. Che performance!

 

 

E non è l’unico esempio di masturbazione maschile con un oggetto edibile che abbiamo visto sul grande schermo. Più di recente nell’ottima pellicola di Guadagnino Chiamami col tuo nome il giovane Elio, un bravo Timothée Chalamet, dà sfogo alle sue pulsioni, indirizzate all’oggetto irraggiungibile del suo amore, Oliver, su una pesca matura. Successivamente sarà proprio Oliver ad assaggiare il frutto, pregno degli umori del ragazzo. Sentiamo cosa dice John Birdsall, food writer e autore di food’s queer aesthetic a proposito della pesca “Abbiamo tutti addentato una pesca d’estate, e abbiamo tutti sentito le mani e i polsi appiccicaticci per via del succo. Si tratta di un sovraccarico sensoriale. La pesca è un oggetto impregnato di succo e di sentimenti, e nient’altro potrebbe rappresentare meglio tutte queste sfumature durante la storia.”

Curiosità: sia Guadagnino che Chalamet hanno realmente provato a masturbarsi con una pesca per assicurarsi che la scena descritta nel libro di André Aciman fosse realistica e beh… pare che lo sia.

 

 

Da notare che in entrambi i casi citati l’appagamento maschile deriva dall’uso improprio di un frutto dai chiari attributi femminili. La mela, tanto cara alla dea Afrodite, tagliata verticalmente rivela una forma che ricorda l’organo femminile, e i semi che cela sono simbolo di fertilità. La pesca, dalla buccia serica e dalla forma simile ai glutei della donna, è una delle emoji più utilizzate nel sexting. Nel 2016 ci fu una vera è propria rivolta da parte degli utenti Apple più horny quando uno degli aggiornamenti rischiò di trasformare questo universale simbolo di lussuria in un semplice… frutto.

Passando dal vegetale all’animale, in quanti ricordano un non troppo velato accenno ad un rapporto orale in Flashdance?

Già Alex, Jennifer Beals, seduce il povero Nick succhiando allusivamente la polpa dell’aragosta al loro primo tête-à-tête, non bastasse già l’abbigliamento decisamente anticonvenzionale. L’aragosta, proprio perché obbliga i commensali a mangiarla con le mani, succhiandone alcune parti, è generalmente considerata un cibo afrodisiaco.

E non è stata l’unico personaggio femminile a stregare un uomo portandosi del cibo alla bocca.

Il cibo ha sempre giocato un ruolo da protagonista nell’immaginario Felliniano, non a caso il regista era un amante della buona tavola.

Proprio in 8 e ½, il suo capolavoro, troviamo una Sandra Milo che spolpa voluttuosamente una coscia di pollo davanti all’amante Guido, Mastroianni, che la osserva intento, ma inappetente, mentre legge il giornale.

 

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E infine l’uovo, simbolo di fertilità e di rinascita, altro cibo considerato afrodisiaco in virtù del suo elevato contenuto proteico, è l’elemento che scatena la libido in una delle scene clou di Tampopo, grottesco ramen-western di Juzo Itami, dove una coppia “gioca” a passarsi con la bocca un tuorlo crudo. L’erotismo in questo caso è incarnato dal lucore, accentato dalla saliva dei protagonisti, della sfera giallo carico, che alla fine, prevedibilmente, si rompe nella bocca della donna, colandole in modo provocante dalle labbra.

La fame fisica molto spesso è una rappresentazione della nostra fame spirituale. “Quello che ingeriamo diventa una proiezione accurata di ciò che realmente vogliamo” come ha spiegato Allison Wist, docente di food studies alla New York University. Il desiderio quindi è il motore di tutto. E per citare un ultimo film, con un cannibale come protagonista tanto per rimanere in tema, “noi desideriamo ciò che vediamo ogni giorno”.

Non siamo mai sazi dunque nei nostri “appetiti” fondamentali, desideri oscuri e potenti che nascono nella parte più antica e ferina dell’animo umano.

Pensateci, la prossima volta che cenerete con la vostra dolce metà.

Dopotutto, come diceva il Bardo, le gioie violente hanno violenta fine…

Essere veneta di nascita e milanese di adozione già la qualifica, in generale. Laureata in Economia e gestione dei beni culturali, dopo un breve ma glorioso passaggio in una radio nazionale, si trova catapultata nel magico modo della Comunicazione. Lettrice onnivora qualche volta scrive, se capita anche di cinema.